(In)coerenza
Si suppone che siano la permanenza e la coerenza a garantire alle fonti esterne il carattere di realtà. Che dire allora delle immagini televisive che riproducono in maniera convulsa e confusa gli eventi esteriori e da cui dipendiamo almeno per le nostre esperienze di ogni giorno? Siamo ancora in grado di distinguere il mondo vero dal mondo falso? Riusciamo ancora a percepire “l’oggettività” di ciò che ci accade? Tutto si svolge a nostra insaputa: siano spettatori distratti di un interminabile telegiornale.
La maggioranza degli uomini abbraccia la religione per
il timore delle domande estreme. Vuole risposte confortevoli e ben confezionate,
credenze inoppugnabili che assicurino una vita tranquilla. Non può vivere senza
uno scopo e lo acquista dove lo trova più a buon mercato; evita di pensare per
non destare una coscienza insaziabile. Credere che Dio si occupi delle più
minute azioni della nostra esistenza quotidiana dovrebbe costituire il culmine
della presunzione. Chi siamo noi per meritare l’intervento divino. La
differenza tra uomo e Dio è abissale. Come possiamo presumere un loro contatto diretto?
Scambiare la divinità per un elargitore di favori?
Di politica non si smette mai di parlare. Le
argomentazioni sono così confuse, le ideologie così rigide e impermeabili che
la discussione si tramuta in chiacchiera e si prolunga per un tempo
indeterminato. Ognuno vuole imporre le proprie convinzioni e demolire quelle
degli avversari. Gli oratori si gonfiano di dogmi con la sicumera di chi si
crede investito da una missione speciale; gli ascoltatori comprimono la noia
perché non osano mettere in dubbio la “sacralità” degli intenti, ma ben presto
si stancano di ascoltare e simulano una compunta attenzione. In questa maniera
i politici, più che risolvere i problemi di una società. li complicano
mascherando la loro impotenza con rassicuranti promesse e inseguendo il
consenso con gli stratagemmi della pubblicità.
Riflettere sulla vita significa rinunciare a vivere.
Non più l’azione immediata sotto la spinta della prassi quotidiana,
dell’addestramento fornito dalle istituzioni, ma l’incertezza che rende inabili
ad agire, il dubbio che si insinua dietro ogni nostra decisione, vanificando in
nostri tentativi di approdare alla “ normalità”. Il pensiero recalcitra ad
accettare l’esistenza così com’è, vorrebbe chiarimenti, formula domande che non
ammettono alcuna risposta. Non si può vivere e, nello stesso
tempo osservare noi che viviamo. Un’onesta riflessione
sui nostri atti li svaluta a tal punto da rendere superflua ogni azione.
Il buon senso assume l’esistenza come un fatto scontato
la morte come un evento spiacevole, che, però, può essere dilazionato. Questa
concezione appartiene all’ideologia “industriale” che da qualsiasi cosa
vorrebbe trarre un guadagno.
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