Tempo perso
Cosa rappresenta per me il mio passato? Un tempo perduto o un tempo acquisito? Non credo che il ricordo sia un balsamo con cui cospargere la nostra malinconia quando una contingenza ci opprime o quando scorgiamo i segni del tempo sul nostro corpo; in ogni caso il rimpianto della giovinezza non migliora le nostre condizioni di vita. Solo con l’esperienza riusciamo a comprendere quello che allora ci sarebbe stato utile sapere e che ora ci risulta indifferente. La riflessione sul tempo avviene sempre a posteriori, né può giovare per il futuro perché la vita è un continuo tuffarsi nell’ignoto con l’unica certezza che l’ultimo tuffo sarà fatale.
Se con la mente ritorno ai miei giorni di
scuola li rivivo come un periodo di interminabile attesa in un pubblico
ufficio, tra impiegati distratti e negligenti, o meglio in una platea in cui si
aspetta impazientemente la fine di uno spettacolo che ci annoia. Avevo fretta
di concludere il liceo, perché la mistura di lezioni che replicavano i libri di
testo su autori di cui non avevamo letto neanche un rigo, di interrogazioni che
si sforzavano di adeguarsi all’innata stupidità della maggior parte degli
studenti mi diveniva sempre più intollerabile. Avevo fretta di frequentare l’Università: speravo che lì
avrei potuto approfondire materie che mi interessavano, sperimentare le mie
capacità intellettuali, divenire qualcuno (ritenevo ancora che il successo
avrebbe ricompensato prima o poi i meritevoli).
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