L'ossimoro permanente
Con la poesia combatto (con scarse speranze di vittoria, ma con l'orgoglio di chi non si arrende alla morale del gregge) la mia battaglia contro la banalità e la volgarità dell'attualità, il cui rifiuto mi condanna alla solitudine.
Oggi i divismo è alla portata di chiunque sia disposto ad esporsi al mirino di una telecamera.
Qualche centinaio di canzoni si sono infiltrate nella nostra memoria e riaffiorano all'improvviso, risvegliate dal rauco suono di una radio.
Il Novecento ha stilato il certificato di morte dell'utopia. Ma nessuno ha partecipato ai suoi funerali.
Viviamo in una società scientifico-tecnologica, ma non sono né gli scienziati né i tecnici a gestire il potere.
Non si riesce più a distinguere tra mode passeggere e cambiamenti di paradigma. Il futuro è un tapis roulant che non s'arresta mai.
Oggi tutti fuggono la solitudine come una condanna infamante. Per questo nei giorni festivi si concentrano nei supermercati, affollano le manifestazioni gastronomiche o culturali (non con l'intenzione di apprendere, ma di partecipare a un intrattenimento di gruppo, si scambiano smancerie e insulti sui social network. Tutto va bene purché si eviti di riflettere.
Non è ridicolo un paese dove le volpi stanno a guardia del pollaio e i corrotti emanano leggi anticorruzione?
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