Fabio Maria Serpilli Mal'Anconia
Mal’Anconìa
Libro
in dialetto anconetano
di
Fabio M. Serpilli
Ancona ha un’anima in
fuga che strugge chi la insegue. Protesa tra mare e cielo, assurdo spuntone che
accade tra acqua e acqua, assediata da una terra che non se la spiega e da cui
non si sente amata nella sua rotta verso un altrove orientato, può essere solo braccata
dai poeti. Tempestata dalla storia e dalla natura, ma per bellezza già invidiata
da una gelosa Venezia per cui “meritarìa
che fosse fata tuta de oro masiccio”, custodisce un’anima che in pochi,
nella nostra contemporaneità, hanno saputo affidare ad una propria parola
poetica. Fabio Maria Serpilli, nato dal seno della città scoscesa, ha
intrapreso con essa la temeraria scommessa di un incontro speculare col proprio
io lirico che lo ha da sempre ispirato. Da lungi addestrato a maneggiare gli
attrezzi del laboratorio poetico nella fraterna compresenza della lingua
nazionale e del dialetto, ha scelto infine di affidare a questo il corpus
ereditario della sua arte con Mal’Anconìa.
In un mondo sempre più avviato all’omologazione globalizzante, i dialetti sfuggono
al gorgo allorché raccolgono il salvataggio aperto dalla nuova poesia.
Tra le voci neodialettali
quella di Serpilli, maestro coraggioso,
intende ridonare da un lato un recupero il più possibile fedele dei lemmi
ereditati dalla tradizione per virarli dall’altro in una metamorfosi lirica vibrante
nei segni profondi di una contemporaneità sgomenta. Ove la memoria, perduta la
funzione consolatoria, si appoggia su sentieri cedevoli che catalizzano l’assillo
interrogativo fino a scendere negli abissi di una condizione esistenziale
intimamente agonica seppure alleviata da sfiuti di bellezza promessa. Con
effetti di lancinante purezza da lasciare più sbalorditi che angosciati.
Serpilli trascorre ogni luogo della cità
ma con ritmica cadenzata: ogni luogo una mutazione vocativa che nasconde una
tensione interiore entro una carezza ove Beleza
e disperazió/ nun védevene el fondo. Anche in lui urge l’adozione de ‘n altro silabàro (linguaggio) per
sondare la cognizione del dolore fino al reiterato pungolo della morte che è la parola più tuta (totale). Adotta
allora una varietà lessicale ed intonativa che fa di questa silloge un’elegia cantata
sul pentagramma di una dialettica intrepida tra male di vivere e unicità della
vita per poter ricomporre l’armonia perduta dell’universo. Ma è mal’armonia che
esige dunque un lessico nuovo eppur compatibile con l’antico senza violentarlo
(come in Scataglini) con sperimentalismi felicemente temerari anche di recupero
medievale e occitanico. Ma con un uso distillato di fonemi adottati come essenziali
al dire e adagiati nel verso: framèntre,
fifàvo, anaculuto, sghizofrenìa, o, più sottili, gli effetti di uno
spostamento di accento in concàvo o
di scambio di funzione tra aggettivo e sostantivo come i spustamenti nùvuli in “Pietralacroce”. Nell’agone tra il tutto e
il niente dell’esistenza, il secondo potrebbe prendere il sopravvento non certo
nelle forme corrive del gaio nichilismo oggi corrente, ma in una serie di
domande stringenti che di traverso vengono poste da personaggi reali di
stravaganza diresti felliniana, mati de strada,
comparse sui palcoscenici sghembi della cità
in successione nella sfilata prefinale: Marco, Tito, Livio, ma è Sandro che,
senza saper di Leopardi, Pascoli, Luzi - o tra i marchigiani un Acquabona o un
De Signoribus - ripropone il modiòlo della domanda antica alla natura
impenetrabile, al dio nascosto: Ma perché
sto chi /a ragiunà cun te /che sei
l’unico/ che nun c’è?
Qui si sale fino alla
chiamata in correo di un logos messianico, da sempre lievitante
nell’antropologia serpilliana eppure sfuggente alla sua inchiesta, che sfocia
nel gran dramma della sua angonìa. Sicché
il Dio ininseguibile anche da ogni preghiera non è degno di attesa, ma di lotta
rasente fino a sublimarsi
in resa dei conti. In un corpo a corpo col divino Mago del célo che si vede costretto al ricatto dell’òmo, del quale ha altrettale bisogno da
quando, pur non richiesto, lo ha creato. E
sai cusa te digo, Onipotente? / che sémo in do’ sémo: / se io senza de te nun
campo / te senza de me nemeno! Giacché Creà
è stato belo è stato erore. L’incontro/scontro supremo è tutto biblico:
duello con cipiglio ma anche con l’orgoglio sostenuto in proprio da Salmi mii.
Anche l’implacata ansia
del tempo vertigale di Serpilli, tutto stremato da istanze senza redenzione,
testimonia ormai che la poesia è tale soltanto quando riesce a denudarsi nell’inermità
universale dell’io contemporaneo. A certificare qui la maturità del neodialetto,
lingua liberata da scorie sedimentate. E lingua in molte voci, questa di
Serpilli tra le primarie, capaci di schiudere le porte dell’indicibile. Scrittura
la sua di chiarità intensa e profonda nel suo anelito a far consonare bellezza
a salvezza. Egli la affida di norma a versi brevi e ad un uso sobrio della
rima, preferendole spesso l’assonanza anche interna in un parlare lirico di
poche strofe (da una a tre) abilmente giocate su una sospensione intermedia
quasi afasica: accorta calibratura tra parola e silenzio con effetti appena
stranianti, per poi folgorare con una chiusa che sa di schianto gnomico. Al
fondo della sua invenzione poetica s’illumina il dono di una quintessenza
musicale modulata dall’andante vivace all’adagio. È la cità accorata che respira ed ispira il suono di una fisarmonica
nelle sue cordonate scoscese di case a schiera fino a istillare alla geopatia
neodialettale di Fabio Maria Serpilli una commossa malìa del vivere sciolta in Mal’Anconìa.
Fabio
Ciceroni
Breve note bio-bibliografiche
Fabio Maria Serpilli, nasce
ad Ancona nel 1949. Studia filosofia e teologia alla Università lateranense di
Roma.
Autore di libri di poesie in
italiano e in dialetto.
Tra le opere in dialetto
ricordiamo:
Castelfretto
nostro (1987) con
prefazione di Valerio Volpini che definisce Serpilli (su Famiglia Cristiana
Ottobre 1994) “L’erede di Franco Scataglini”.
Un originale volume è
considerato I luoghi dell’anima (peQuod
2002) che contiene la silloge El paès e
la Cità). Nel 1999 una sua silloge Mal’Anconia
(Humana editrice), è inserita nell’antologia Canto a cinque voci. In Esino,
immagini e parole (2005) Serpilli elabora commenti poetici per le foto
artistiche di Renato Moschini.
Del 2017 è la raccolta Lengua de aleluja nell’antologia a
quattro Lingua léngua (Italic Pequod)
Nel 2010 esce il “Dizionario dialettale
aguglianese - Le antiche parole”.
Dal 1996 cura l’antologia LA POESIA
ONESTA, che raccoglie le sillogi in lingua e dialetto di autori italiani.
Dal 2005 cura le antologie di poeti
dialettali marchigiani del Festival del Dialetto di Varano (AN), giunto alla 44ª
edizione.
Nel 2005 esce il volume “Poeti e Scrittori dialettali” (Ed.
QuattroVenti di Urbino) in coabitazione con Fabio Ciceroni e Giuseppe Polimeni,
docente di Storia della lingua italiana all’Università di Milano.
Nel 2018 pubblica assieme a
Jacopo Curi (Macerata) l’Antologia Poeti
neodialettali marchigiani, per la collana de I quaderni del Consiglio
regionale delle Marche.
Nel 2021 pubblica le poesie
in neodialetto anconetano Mal’Anconìa, per la “puntoacapo Editrice”,
nella collana AltreLingue.
Anconìa
Vienìvi su da l’onbra
cu’ ‘na trecia su le spale
e le mà d’aria
Caminavi su ‘na làgrima de
mare
l’anima méza
Purtavi el mondo su dó tachi
a spilo
in acrobazia
un trono i fianchi
giù pe le ripe
schina strapionbo
e i pìa
Bala la Cità bèla
tanta maistosa fémina
sui fianchi e le cavije
cume che sente mùsiga
Noturno
La luna órèola el Dòmo
i lumi se ‘cende in fondo
indóve la Cità trema
nave ch’el mare dìngula
de le londe
‘na guasi mùsiga
amanca pogo
a la felicità
e n’acàda che ‘l còre
fa un sfiùto e ‘l faro
‘picia e smòrcia
quando viè lìa
nun c’è parole
una
che me basta
Auguri al poeta anconetano che regala ai marchigiani onestà e purezza nascoste tra le righe dei suoi pensieri . Maria Teresa da Peglio.
RispondiEliminaComplimenti a Fabio Maria Serpilli, alla sua espressiva e densa "lengua" e al recensore che coglie le molte sfaccettature di un'antologia da leggere e rileggere, da assaporare, col ritmo con cui si gustano le cose buone. Cristiana Cirilli
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