Storicità

 

uanti, pur di avere un qualche ruolo nel mondo, non esitano a sottomettersi ad autorità arbitrarie e inutili? Quanti si impegnano a legittimarle organizzando il pubblico consenso con la retorica del progresso inevitabile e dell’accelerazione programmata?

 

 

 

 

 

Ê più ciò che ci unisce o ciò che ci divide? Dipende dalle circostanze. Nell’esperienza ordinaria, quando non si oltrepassano i limiti dell’impiego, della famiglia e del vicinato i nostri comportamenti sono comuni e prevedibili. Nelle situazioni cruciali, quando è la nostra stessa esistenza ad essere messa in gioco, le differenze esplodono e diveniamo incomprensibili gli uni agli altri. All’improvviso diveniamo inermi di fronte ai capricci della vita e della morte. Contro queste eventualità la società si è da tempo vaccinata. La civiltà di massa si è proposta di eliminare metodicamente la diversità  e di imporre l’uniformità.

 

 

L’ironia è un’arma micidiale nelle relazioni sociali. Chi sa pronunciare l’ultima parola, sommergere nel ridicolo l’ostentata sicurezza dell’interlocutore, riduce al silenzio il suo avversario, lo demolisce con una “guerra-lampo”. Opponendo obiezione ad obiezione si potrebbe prolungare la disputa per ore e ore; pronunciando al momento opportuno la battuta giusta, a cui  è difficile replicare, si esce subito vincitori.

 

Per l’utopista il male lavora, suo malgrado, in favore del bene, il sacrificio fa scattare la ricompensa. Nella sua “demenza storica” immagina la transizione miracolosa in una società diretta dall’intelligenza collettiva.

 

L’esistenza non viene scelta, ma viene imposta. Già questo fatto dovrebbe costituire un limite insormontabile alla libertà e alla felicità.

 

Quarant’anni fa , in un ambiente plagiato dalla mitologia modernista, tutto diventava “rivoluzionario”: dall’esperienza amorosa, all’espressione letteraria. Oggi, dopo le smentite delle profezie storicistiche, si attendono soltanto rivoluzioni tecnologiche, come estrema possibilità di salvezza per uomini che non impareranno mai a rinunciare ai miracoli.

 

L’atteggiamento storicistico vuole stringere il passato nella gabbia del divenire, riducendolo a un processo che si può facilmente comprimere in formule generali considerate sistematiche e definitive. Vuole classificare ogni evento come un gradino nella scala di un progresso indefinito.

 

Alla nascita di un bambino tutti i conoscenti si complimentano con i genitori. Eppure non c’è nulla di cui possano vantarsi. Hanno lasciato che la natura seguisse il suo corso.

 

I più brillanti giornalisti, i più abili comunicatori non fanno altro che stendere un omaggio alla normalità, adulando l’uomo comune, assecondando le sue “innocenti” passioni. Le aspirazioni ristagnano nei limiti di una mediocre esistenza: famiglia, figli, casa, lavoro, cronaca, attualità, magari qualche amore furtivo per distrarsi e una speranza totalitaria: vincere al superenalotto.

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