Biblioteche senza identità

                                                               

   “Libraries are desperately in need of new models for the future”[1] Quello della necessità di una palingenesi in biblioteconomia è un ritornello che si ripete da almeno trenta anni. L’esigenza per un verso sembrerebbe dettata dall’aspirazione della disciplina a conseguire una sua specifica scientificità, per un altro verso dalla “crisi identitaria senza precedenti” delle biblioteche, come non hanno precedenti le trasformazioni sociali che le accompagnano.[2]

   Naturalmente una vita concentrata sul futuro, che per sua natura è incerto e precario, nell’attesa spasmodica di nuovi ritrovati tecnologici che possano sorprendere per qualche istante rendendo interessanti le esperienze esistenziali e dopo un breve lasso di tempo generano assuefazione, sarà sempre condannata a ricominciare da principio e a trovare sempre nuove motivazioni come il bambino che rompe il giocattolo e subito ne aspetta uno nuovo.

   In una simile condizione i modelli di comportamento mutano a un ritmo vertiginoso e le teorie devono inseguirli e giustificarli se vogliono mantenere l’interesse di un pubblico facile a distrarsi sotto il bombardamento di notizie clamorose e le promesse di un avvenire sempre migliore (e sempre smentito) e non dare l’impressione di essere in ritardo. Devono presentare un’immagine accattivante di sé organizzare attività attraenti e distraenti per non essere sommerse dalla delusione e dall’indifferenza, concentrare più di tremila anni di sapere negli spot della cultura di massa.

   Ma se le varie istituzioni adottano senza riflessione i mutamenti che si susseguono nella società dei consumi rischiano di smarrire la propria identità.

   L’Associazione italiana biblioteche in un suo documento programmatico[3], parte dall’assioma che la biblioteca è uno strumento della democrazia richiamandosi agli articoli della Costituzione: 3. 2 (spetta alla Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che [limitano] di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”), 9.1-2 (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), 21.1 (“Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”),  33.1 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), 34.2 (“L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni è obbligatoria e  gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”). Questo perché garantisce pari opportunità di accesso “all’informazione, alla conoscenza, alla cultura e alla libertà di ricerca scientifica”.  

   Le associazioni internazionali da tempo ripetono che la biblioteca è la pietra miliare della democrazia perché un pubblico informato ne costituisce il fondamento.[4]

   Per rilanciare la sua popolarità L’AIB sottolinea che in Italia la biblioteca è considerata un “servizio culturale”, mentre nei paesi anglosassoni e del nord Europa ha acquisito le caratteristiche di un autentico “servizio sociale” offrendo programmi e attività che mirano all’acquisizione e al perfezionamento di conoscenze “informatiche, linguistiche” e di lettura che dovrebbero accompagnare il cittadino lungo tutto l’arco della sua vita.

   Anche nel nostro paese la biblioteca d’ente locale andrebbe valorizzata non come un semplice “servizio culturale” ma come un “istituto del welfare”. Questo compito favorirebbe alcune “priorità nazionali, prima fra tutte quella della crescita culturale del Paese, questione che riguarda molto da vicino sia la competitività[5] sia la tenuta democratica della nostra nazione”

   Le biblioteche pubbliche e la loro finalità si incrociano , nel corso della loro storia, con i concetti di “democrazia”, “cittadinanza” e “diritti”. Esse consentono alla totalità della popolazione, senza esclusioni di sorta, di accedere a una molteplicità “di informazioni, conoscenze, idee e opinioni” contribuendo a rafforzare e accrescere la pratica “di una cittadinanza informata e consapevole” e per questo tramite rinsaldare la natura democratica globale di una società. In questo periodo ciò riguarda in particolare la facoltà di accedere alle trasmissioni e alle risorse digitali.

    Nell’Europa occidentale, in maniera precipua, la funzione delle biblioteche pubbliche e delle altre istituzioni che facilitano l’ammissione “alla produzione e al patrimonio culturale e scientifico” si inserisce nell’insieme delle prestazioni sociali garantite dal welfare come la pubblica istruzione, l’assistenza sanitaria, la previdenza. Nel nostro Paese questo aspetto sociale delle biblioteche pubbliche per un lungo periodo non è stato tenuto in considerazione, e solo di recente è stato ripresentato con decisione dall’Associazione italiana biblioteche.[6]

     I bibliotecari dovrebbero evitare il rischio di una condizione appartata e ininfluente impegnandosi a dimostrare “l’importanza degli investimenti in conoscenza, cultura e formazione per lo sviluppo sostenibile delle città” riuscire ad accreditare i propri istituti  “come luoghi di opportunità individuali e sociali realmente disponibili e irrinunciabili”.[7] Oggi la biblioteca pubblica non dovrebbe essere identificata come un luogo  in cui si va per consultare e prendere in prestito libri, ma come un punto di accrescimento sociale ed economico, che consentono ai diversi pubblici di interagire e integrarsi tra loro.[8]

   Diventa necessario considerare “la biblioteca pubblica un servizio sociale”.[9] L’educazione alla complessità, che spetterebbe all’istruzione e alla formazione continua, in Italia mostra i suoi limiti. La scuola e l’università vanno abbandonando il compito di spinta nella mobilità sociale, che, nel passato hanno sempre svolto. Emerge uno scetticismo sul ruolo che l’istruzione può esercitare nel superamento delle disparità tra una generazione e l’altra.[10] Sul presupposto che tanti più sono i cittadini che si accostano alla conoscenza tanto più rilevanti sono i benefici che ne deriva l’intera collettività, la scuola diventa una prestazione di cui si fa carico lo Stato e che viene finanziata dall’intera comunità. Nello stesso ambito andrebbero incluse, “come servizio pubblico di base” anche le biblioteche, quelle pubbliche in particolare, dal momento che garantiscono un accesso indiscriminato alla conoscenza che è il principale strumento di crescita e quindi anche lo “spartiacque tra ricchezza e povertà individuali e collettive”.[11]    La biblioteca è un “laboratorio” nel quale si apprende ad apprendere, ci si applica a contatto con i documenti, si può partecipare a pratiche comuni con chi condivide gli stessi interessi. Essa andrebbe percepita come “elemento trainante” di una comunità  dovrebbe essere identificata non tanto con un luogo quanto con una “funzione sociale che agevoli le possibilità di acculturazione, dal momento che la cultura rappresenterebbe “il principale strumento di crescita” e sarebbe pertanto il discrimine tra l’inclusione e l’emarginazione, la povertà e la ricchezza.[12]     Pertanto le biblioteche pubbliche dovrebbero essere poste al centro delle politiche del welfare che mirano a diminuire le disuguaglianze nella fruizione di beni indispensabili, mentre i nostri politici hanno sempre considerato la cultura un bene superfluo e opzionale

   Eppure sembra che la condizione di crisi riguardi le biblioteche di tutto il mondo (in particolare dell’Europa) e non soltanto quelle italiane. La biblioteca pubblica non può surrogare la scuola e la famiglia nell’apprendimento dei rudimenti primari del sapere, ma può rappresentare un valido sostegno per la formazione continua contrastando l’analfabetismo funzionale, oggi diffuso tra la maggior parte della popolazione e più allarmante dell’analfabetismo tout-court.[13] Ma questo avviene perché la scolarizzazione come oggi viene praticata non rappresenta più la condizione sufficiente per garantire ai cittadini le conoscenze minime di cui avrebbero bisogno per destreggiarsi nella società attuale. Negli anni Sessanta e Settanta la scuola e l’università hanno aperto l’accesso e assicurato la promozione sociale a numerosi giovani che prima ne erano esclusi. Ma gradualmente hanno diminuito il proprio standard qualitativo. Come non è “democratica” una scuola che insegna solo a pochi, così non lo è una scuola che insegna poco a tutti. Ugualmente, per godere di pari opportunità non basta un accesso universale, ma disordinato alla scolarizzazione. “Oggi anche la scuola è schiacciata dalle macerie del discredito delle istituzioni”.[14]

   Le scarse competenze linguistiche di diplomati e laureati non possono che incidere sul ruolo delle biblioteche e coinvolgerle nella comune disistima. Queste per acquisire una funzione, di cui, in Italia, non hanno mai goduto, si sono rivolte alle tecniche del marketing per ampliare il proprio pubblico e trasformare gli utenti in clienti. Tanto più che il tema dell’educazione è stato ormai stabilmente inglobato in una mentalità produttivistica che mira unicamente al soddisfacimento e all’accrescimento dei suoi fan con qualsiasi mezzo. L’economia non è una disciplina accademica come le altre, “ma è la teologia della nostra era, il linguaggio che tutti gli interessi, elevati e bassi, devono parlare per ottenere una rispettosa udienza nelle corti del potere”.[15]

    Nel mondo occidentale esistono i requisiti per una vita soddisfacente, ma la cieca rincorsa a una crescita senza fine la rende impossibile. Mentre per il futuro nostro e del nostro pianeta dovremmo ridurre i consumi e l’inquinamento, la pubblicità, che tiene sotto controllo i vecchi e i nuovi media, innesca la spinta al consumismo illimitato inducendoci a desiderare qualcosa che, in sua assenza, non avremmo mai pensato di volere.[16] Sia la scuola che le altre istituzioni culturali hanno assimilato le tendenze e l’ideologia del mercato cercando di enfatizzare l’utilità dei propri servizi  con slogan contagiosi.  Negli scritti di biblioteconomia non mancano mai termini come: “competitività”, “elemento trainante”, “strumento trainante”, “crescita”, “sviluppo sostenibile” “discrimine tra ricchezza e povertà”, “impatto sociale”, per non parlare della singolare metafora che equipara la cultura al petrolio. Nel discorso quotidiano, creato dal marketing per assuefare i distratti ascoltatori al consumo, e assimilato dalla politica per imporre le proprie decisioni “le manifestazioni della cultura- dai monumenti alla creazione intellettuale- vengono espresse da metafore di carattere economico, quando non sono tratte direttamente dalla sfera del mercato”.[17]

    Ma dove la ricchezza viene identificata come il fine naturale e principale dell’umanità, questa non potrà che rimanere perennemente insoddisfatta della propria condizione. L’Homo economicus rappresenta “un essere unicamente prosaico, la cui vita è interamente consacrata al lavoro, all’utilità e all’interesse”.[18] Non si è mai abbastanza ricchi se ci si guarda intorno. “Si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opinionem numquam eris dives”.[19] Se nel mondo antico oltrepassare i vincoli fissati dalla divinità generava hybris, che si pensava avrebbe condotto il colpevole alla rovina, la pubblicità esorta l’uomo contemporaneo a superare incessantemente i propri limiti, a lanciarsi verso una crescita illimitata.[20]  “Ora l’illimitato è per sua definizione legato all’incompiutezza”.[21] Nonostante tutti i nostri sforzi dobbiamo sempre ricominciare a vivere.

   Una situazione deficitaria del livello culturale non sembra riguardare solo la popolazione italiana, anche se da noi le periodiche rilevazioni denunciano casi più eclatanti[22] , ma parrebbe una prerogativa dei paesi occidentali. Nichols segnala tra la popolazione statunitense una capacità sempre più ridotta di comprendere la scienza e la matematica.[23] Anche lì gli studenti, trattati come clienti da soddisfare piuttosto che come allievi da istruire, non apprendono e non acquisiscono il pensiero critico indispensabile per continuare ad assimilare e ponderare argomenti sempre più complessi, su cui dovranno prendere decisioni in qualità di cittadini. Emerge un’assoluta ostilità nei confronti della conoscenza. Gli anni in cui si dedica un maggior periodo all’  istruzione formale, in cui aumenta l’esposizione alle fonti del sapere dovrebbero accrescere il nostro bagaglio intellettuale; invece sembra accadere il contrario. La grande quantità di dati a disposizione non migliora le nostre capacità critiche per la tendenza a prediligere soltanto le informazioni che rafforzano le nostre credenze e a ignorare quelle che le contraddicono.

   Internet non è una biblioteca, che costituisce il luogo dove si organizza e si gestisce la conoscenza, ma una sorta di enorme magazzino in cui si può trovare di tutto: dal trattato scientifico alla foto falsa, dai sermoni religiosi al materiale pornografico, il tutto governato dalle regole del marketing .Le sue dimensioni e la difficoltà di sceverare il sapere effettivo dalla chiacchiera banale comportano che sia estremamente difficile distinguere le buone informazioni dai dati scadenti.  E’ un medium che amplia le caratteristiche della radio e della televisione, che nei loro talk-show hanno impegnato i partecipanti in discussioni interminabili su qualsiasi argomento dove ogni parere si equivaleva, mettendo sullo stesso piano il ruolo dei profani e quello degli esperti. In essa si è affermata la convinzione che ogni opinione valga quanto qualsiasi altra con il tutto allargato su scala globale.

   Oggi l’afflusso a qualsiasi tipo di istruzione si è trasformato in fenomeno di massa. La più rilevante abilità intellettuale: il pensiero critico, vale a dire la capacità di analizzare le nuove informazioni e le idee concorrenti nella maniera più imparziale e senza prevenzioni emotive rischia di dissolversi.[24] Occorre oltrepassare la concezione di “promozione della lettura” armonizzandola con l’acquisizione della capacità di cercare, usare e creare informazione a scopo di ricerca, partendo dal principio che non tutte le informazioni sono autentiche, anzi per la loro maggior parte sono fittizie e alterate.

    La profonda crisi che pervade le biblioteche in tutto il mondo induce a considerare quelle pubbliche come parte del welfare state, che è il risultato indiretto della crescita economica iniziata nell’Ottocento, così come le critiche che attualmente lo accompagnano sono una conseguenza della grave crisi che ha aggredito le economie occidentali.[25] Oramai si va affermando che prestazioni come il salario minimo, l’assistenza sanitaria, la pensione di vecchiaia, la fruizione del sistema scolastico e dei servizi per l’infanzia cominciano a divenire insostenibili.

    Negli anni ‘90 e all’inizio degli anni 2000 le biblioteche italiane registrano una fase di espansione che le avvicina agli istituti d’oltralpe e d’oltreoceano. Poi, con l’avvento della crisi, i finanziamenti destinati alla spesa pubblica e alle istituzioni culturali sono drasticamente calati.[26]

   D’altro canto le biblioteche soffrono di una crisi d’identità. Con l’arrivo di Internet, la sua evoluzione nel web 2.0, la diffusione di e-book, e-reader, tablet  e smartphone sembra che si siano oscurate alcune funzioni della biblioteca, in particolare quella informativa. “Quasi tutti ormai prediligono un’informazione approssimativa ma immediata a un’ informazione magari più completa ma ‘differita’”.[27]

   Questa trasformazione dà origine a iniziative che non si possono definire propriamente culturali, ma assumono “connotazioni più marcatamente sociali”: letture per anziani che ne traggono l’occasione per non isolarsi, letture per bambini da 0 a 36 mesi che consentono ai vari genitori di incontrarsi, corsi di formazione per gli utenti. Sono alcuni esempi di quello che già avviene in biblioteca e dimostrano (se ce ne fosse bisogno) che la biblioteca pubblica, nutre “nella sua vocazione universalistica e democratica … un’attenzione specifica alle persone e ai loro bisogni”.[28]

    Bisognerebbe riflettere su come le biblioteche potrebbero essere impiegate  per rimediare alle carenze enormi delle conoscenze della popolazione adulta italiana. I politici potrebbero mostrarsi più interessati alle necessità del settore bibliotecario se sentissero la pressione dell’opinione pubblica, cosa che nel nostro paese non si è mai verificata. La mancanza di partecipazione manifestata dai cittadini è rapportabile alla scarsa utilità percepita nell’uso della biblioteca. Essa  dovrebbe essere valutata in base ai vantaggi che è in grado di arrecare alle persone che l’avvicinano. Manca la reputazione, che è il risultato dell’affidabilità e dell’attinenza alle esigenze individuali..

      Intanto al principio del XXI secolo ci si è resi conto che la democrazia sta attraversando un periodo caratterizzato da notevoli paradossi.[29] Il costituirsi di nuove élite transnazionali, il cambiamento dei partiti e dei loro modi di comunicare con le masse, l’insieme dei fenomeni di globalizzazione avrebbero svuotato i valori delle istituzioni democratiche affermatesi nel secondo dopoguerra snaturandone il carattere e il rapporto con i cittadini.[30]  Zagrebelsky scorge non solo in Italia, ma anche in Europa una oligarchia mascherata da democrazia.[31]Per un verso il numero delle nazioni che hanno adottato , almeno dal punto di vista formale, questo regime è aumentato rispetto al passato. Nelle democrazie di più lunga data però è diminuita la “capacità di azione”[32] dei politici a seguito della crescente diminuzione della loro legittimità. Gli elettori disertano sempre più le votazioni, perché risulta sempre più difficile attribuire fiducia ai candidati scelti dalle segreterie dei partiti. D’altra parte il dibattito politico diventa sempre più autoreferenziale, sotto la regia di giornalisti legati più o meno palesemente a questa o a quella fazione, dove più che argomentare si grida il proprio diritto a ricoprire una carica.

    Si squalifica anticipatamente qualsiasi affermazione di un avversario suscitando sospetti, spesso infondati, attorno alla sua onestà, irreprensibilità, disinteresse, alla sua scarsa attendibilità (scientifica, morale, politica). In tal modo le argomentazioni proposte saranno trascurate, ritenute prive di fondamento, bollate come menzogne.[33]

    Il suffragio universale non ha avuto gli esiti previsti da coloro che lo avevano propugnato. Le urne si sono trasformate in un mezzo di legittimazione di un ceto politico quasi immodificabile, al di là delle diversificazioni e divisioni al proprio interno.[34] Il rapporto governanti – governati “la cui rappresentazione oleografica è quella della democrazia rappresentativa e del meccanismo elettivo-parlamentare” in realtà si riduce a una lotta per la conquista dell’ imperium. [35]

   Il clima è da continua campagna elettorale, accompagnata immancabilmente dai sondaggi e diretta da professionisti abili nelle tecniche di persuasione, con le modalità con cui si organizzano le campagne commerciali. Al di là dello spettacolo delle contese elettorali le decisioni vengono stabilite occultamente tramite i governi eletti e le élite che per lo più si limitano a rappresentare interessi economici. I governanti hanno appreso a manipolare e indirizzare i bisogni della gente con le stesse tecniche che alimentano il consumismo. Siamo così assuefatti a questo comportamento da dare per scontato che un programma di partito venga presentato come un prodotto da vendere al maggior numero possibile di votanti. L’adozione dei metodi della pubblicità ha favorito i politici a comunicare efficacemente con le masse ma ha offuscato la trasparenza della democrazia, trasformandola in un governo plebiscitario dominato dall’audience.[36] Privilegi partitici e corporativi vengono mascherati dagli slogan del mercato e della libera competizione.

   Benché le alternative al modello di governo liberaldemocratico hanno perso le attrattive di cui potevano godere negli anni Sessanta e Settanta, le conseguenze della globalizzazione e le ripercussioni delle riforme neo-liberiste hanno accresciuto la delusione dei cittadini.[37]

   Mentre il mondo naviga nel caos politici e intellettuali di successo continuano a promettere una rapida ripresa della crescita e un futuro migliore, quando è evidente che non ci sarà ripresa, né futuro perché il modello di sviluppo “partito due secoli e mezzo fa con la rivoluzione industriale, è arrivato al suo massimo limite di espansione, al suo muro, alla sua fine”.[38]

   Non abbiamo nulla da attenderci dalla politica, la cui inconcludenza è ormai cronica, da cui nei momenti di difficoltà tutti si aspettano una soluzione che viene rimandata sine die. Tanto più che le biblioteche rappresentano per i politici una pesante e fastidiosa eredità.

   Si nutre un’idea infondata sugli effetti della pressione dell’opinione pubblica sui provvedimenti di chi detiene il potere, anche perché l’opinione pubblica è manipolata dai media, che da chi detiene il potere sono controllati.

   Il classico partito del XXI secolo risulta costituito da una élite interna che si autoriproduce, slegata dalla sua base e rappresentanza, ma ben inserita entro un certo numero di aziende che in cambio sovvenzioneranno sondaggi di opinione, consulenze esterne, raccolta di voti, a condizione di essere favorite quando il partito salirà al governo.

   Il welfare state diviene gradualmente “residuale”, destinato ai poveri e ai bisognosi “piuttosto che parte dei diritti universali della cittadinanza”.[39] Nel periodo democratico si era pressoché d’accordo che lo Stato sociale dovesse essere distinto in qualche modo dalla competitività del mercato e dalla logica del profitto. Era la via che tentava di armonizzare capitalismo e comunismo cercando di garantire alle maggioranze una costante condizione “di relativo benessere o minore malessere”.[40] Lo stato nazionale , prima della globalizzazione, esercitava il proprio potere sull’organizzazione economica, sulle relazioni politiche e sociali, sulle norme che regolavano i diritti e i doveri dei cittadini. Oggi queste concezioni sono ampiamente contestate e lobby sempre più potenti si domandano perché i servizi pubblici non debbano essere affidati ad aziende con fini di lucro come qualsiasi altra attività. Il World Trade Organization ha individuato la pubblica istruzione e i servizi sanitari come attività che dovrebbero essere allargate al mercato e alla privatizzazione.[41] La convinzione della superiorità delle aziende di successo rispetto agli organi governativi è divenuta un’ideologia inattaccabile. L’efficienza tecnocratica è accompagnata da un egualitarismo tecnologico. Però gli straordinari sviluppi delle scienze e delle tecniche hanno sostanzialmente perso qualsiasi rapporto “con l’idea complessiva di Progresso”.[42] Mentre il neo-liberismo, nonostante le dichiarazioni dell’ideologia che lo giustifica, non privilegia l’iniziativa degli individui, ma “quella dei soggetti dominanti della finanza e dell’industria”.[43] Nemico dichiarato del comunismo ne condivide alcuni rilevanti difetti: la pretesa di detenere il monopolio della scienza economica e sociale, la promessa di magnifici futuri per tutti i paesi a condizione che seguano le sue ricette indiscutibili, la convinzione di essere l’unica forma di governo capace di fornire a tutti gli individui le più vantaggiose opportunità.

     Nell’epoca della decantata trasparenza totale gli arcana imperii della politica e della finanza sfuggono ai comuni cittadini che si illudono di controllarli con un clic del telecomando o del mouse. Chi detiene effettivamente il potere è invisibile, impersonale; i suoi rappresentanti si agitano e schiamazzano per impressionare gli elettori e rimanere a galla.

    Quando i governanti riescono facilmente ad eludere le proprie responsabilità nei confronti dei governati cadono nella corruzione che è il più manifesto segnale della stentata salute della democrazia perché denuncia “una classe politica cinica e amorale”[44] indifferente alle sorti dei cittadini. La corruzione diffusa dimostra che la democrazia occidentale è diventata una forma di governo fragile, che “mentre pretende di fondarsi su un controllo efficace del popolo nei confronti di chi esercita il potere, vede invece questo controllo sempre più svuotato, in molti casi al limite dell’impotenza”.[45] Questo è dovuto al reciproco collegamento tra il potere e il denaro, che si alimentano a vicenda; l’uno diviene strumento per acquistare l’altro e accrescerne senza limite la quantità. Con la finanziarizzazione dell’economia su scala planetaria il denaro viene investito per produrre altro denaro, ha cessato di essere un mezzo per diventare un fine.[46]

    Le tecnologie digitali non solo hanno esercitato il ruolo di ridurre ai nanosecondi i tempi di reazione dei mercati alle minime oscillazioni di valore, ma hanno anche procurato la giustificazione “scientifica” ai modelli matematici che si proponevano di dimostrare la capacità di mantenere entro margini ammissibili il “rischio statistico” legato alle nuove forme di investimento (tesi clamorosamente smentita dalla crisi).[47]

   D’altro canto il politico corrotto, divenuto per questo motivo ricco e potente, può divenire oggetto di ammirazione ed emulazione, nella prospettiva di diventare come lui.[48] Questa segreta speranza attenua la contestazione , favorisce comportamenti subdoli e maschera il disprezzo in deferenza. Le proteste per quanto frequenti vengono incanalate nell’assenso dalle chiacchiere dei media o neutralizzate da un rinvio a riforme che si ripetono e si correggono in maniera indefinita.

     Nelle società opulente si genera un conflitto sempre più duro per procurarsi una ricchezza sempre più grande, mentre una maggioranza che si sente senza rappresentanza non si riconosce nel regime democratico e lo accusa di favorire le oligarchie. Ovunque i partiti appaiono più forti che mai dal punto di vista finanziario, alimentandosi con le risorse dello Stato e divengono sempre più privi di legittimità.[49]

         “L’oppressione si regge strutturalmente sulla connivenza delle sue vittime”.[50] Se non riverissero chi ostenta un prestigio acquistato con l’appartenenza a un partito, se non facessero l’anticamera davanti alle porte di ministri e assessori, se non chiedessero piccoli favori che spesso si rivelano promesse ingannevoli, non patirebbero una sudditanza vergognosa.

     Una classe politica che esercita il potere senza averne i meriti, imbonendo i cittadini con promesse roboanti,  ma irrealizzabili, a volte con sfrontati  inganni, abolendo il dubbio come antipatriottico potrà interessarsi  seriamente al funzionamento delle biblioteche?

      Una  cultura raffinata viene bollata come élitaria. L’educazione viene impartita per formare consumatori o, a livello politico, elettori.

      Un modo efficace “di impoverire il cervello è sottoporlo a una stimolazione ripetitiva, sempre uguale o simile”.[51]

     Chi si accosta alla politica ha già compreso “che non basta capire la realtà, bisogna ‘manipolarla’ se l’obiettivo è il potere”.[52]

    Per Anna Galluzzi la funzione delle biblioteche come “infrastruttura della democrazia” deve tener conto, che la democrazia stessa, nel modello a cui eravamo assuefatti, sta sperimentando una profonda crisi i cui indicatori sono l’esautoramento della centralità dei parlamenti, la disaffezione e il malumore dei cittadini nei riguardi del sistema politico, l’eccessivo potere dei partiti sempre più distaccati dalle loro basi, lo spostamento del dibattito pubblico nei talk show, la mancanza di prospettive di medio e lungo termine a favore di interventi che assicurino un immediato consenso elettorale. I bibliotecari pur adottando nuovi metodi di gestione e valutazione dei servizi non riescono a persuadere le proprie amministrazioni a modificare tagli e piani di assestamento.[53]

  “In una società iperinformativa e ipercomunicativa” aumenta la quantità di informazioni vere di cui poter usufruire, ma aumenta anche la quantità di menzogne, perché le verifiche divengono più difficoltose e perché basta disporre del medium, ossia possedere numerose ed efficaci fonti informative, per avere a disposizione il messaggio e pertanto “manipolare, ingannare, usare collettività e individui a proprio comodo”.[54] L’invisibilità è un carattere che la verità ha in comune con la menzogna, ma se per l’una si tratta di uno svantaggio, per l’altra si tratta di una evidente agevolazione. Il fine è di venire in soccorso a chi deve cercare di comprendere tra le informazioni da cui è bombardato quelle di cui potersi fidare.

   “Il predicato V (è vero) è un predicato inferenziale o riflessivo serve … [per] passare dalla realtà ai discorsi sulla realtà”; è un atto del nostro meditare sul linguaggio e i nostri convincimenti per scorgere se riflettono autenticamente la realtà, o per difendere la loro attitudine a riflettere la realtà, o per porre in questione le loro attitudini in questo senso. In ogni caso l’impiego proprio di V sembra trattarsi di un impiego preminentemente scettico “nel senso di appartenente alla skepsis, la ricerca”.[55]

    Quando l’inganno ha la finalità di spingere ad agire o provocare  un determinato numero di convinzioni più o meno vere che si trasformino in comportamenti abbiamo a che fare con la manipolazione. Il manipolatore compie ricostruzioni che danno rilievo a certi fatti e ne trascurano altri, mettono in relazione certi punti di vista e non altri: “è il procedimento proprio delle pubblicità, delle relazioni pubbliche, o degli avvocati difensori”.[56]

    La segretezza con cui vengono prese le decisioni che contano l’impiego della menzogna per esortare comportamenti collettivi è direttamente proporzionale alla legittimità dello stato. E’ “a colpi di linguaggio” che regimi più o meno totalitari riescono a conservare il potere, diventando, poco a poco autentiche “logocrazie di massa”.[57] La comunicazione con il suo carattere manipolabile e manipolatorio, altera le informazioni sugli eventi del mondo e falsifica la memoria storica infrangendo la possibilità di distinguere la realtà dalla finzione.

     L’effetto della propaganda e delle innovazioni tecnologiche rappresenta un pericolo anche per le attuali democrazie occidentali. Secondo Simone Weil: “L’appartenenza al partito obbliga sempre alla menzogna”.[58]

    Gradualmente, nel corso dell’Ottocento, l’idea di “potere popolare” comincia a divenire maggioritaria. Ma proprio in quel periodo si verifica un aumento progressivo della complessità delle conoscenze, che rende sempre più difficoltoso esercitare la funzione-verità. Quasi tutti, in quanto liberi cittadini, hanno la facoltà di decidere, ma le informazioni che dovrebbero indirizzare le loro decisioni, sfuggono dal loro controllo. La scienza sempre più sofisticata e specializzata sottrae loro il diritto di valutazione e lo affida agli esperti. Per di più, nel corso del Novecento, la trasmissione delle informazioni, effettuata dai mezzi di comunicazione di massa, si dimostra sistematicamente distorta. “L’applicazione della funzione V, già di per sé complessa risulta impraticabile, e sin da principio viziata dal gioco della derealizzazione massmediatica”.[59]

   Si afferma il nichilismo che produce come conseguenze: l’indifferenza, la delega della verità (al Partito, alla Chiesa, al Principe carismatico, all’esperto o presunto tale), l’antintellettualismo (inteso come il predominio del sentimento sulla conoscenza, dell’emotività sul pensiero), il “declino culturale della cultura” (la caduta in discredito delle stesse attività del comprendere, dell’imparare, del conoscere sia in campo scientifico che in campo umanistico).[60]

    La D’Agostini scorge un miracoloso rimedio ai danni provocati dai mezzi di comunicazione di massa nella nuova tecnologia digitale. “Nel bene e nel male, l’esplosione comunicativa e informativa di Internet è stata, ed è tuttora (non si sa per quanto) un ritorno in grande stile della verità dopo le disavventure novecentesche”[61] Questo accadrebbe perché tutti, solo a volerlo, possono trasformarsi da semplici fruitori dei messaggi a produttori attivi e venire direttamente a contatto con le conoscenze diffuse nel Web.

     Per altri la campagna di Obama del 2012 ha offerto una sconcertante dimostrazione del maggiore impatto della Rete come mezzo di “manipolazione propagandistica” nei confronti dei precedenti media, inclusa la TV.[62]

         La pubblicità usa la tecnica della ripetizione replicando ossessivamente il messaggio con il nome del prodotto da acquistare o del politico da eleggere

    Internet se impiegato correttamente può diventare un efficace supporto alla conoscenza, ma  se impiegato scorrettamente può investire il cervello con una tale quantità di informazioni da indurlo nella monotonia delle risposte automatiche.[63] Il nuovo ambiente fornisce in tempi veloci un’enorme quantità di dati, mentre i circuiti nervosi sono lenti in rapporto a quelli dei calcolatori.[64]

      La saggezza e la prudenza ormai appaiono stili di vita sorpassati, “anzi temuti, perché estranei ai modelli oggi dominanti: la fretta e l’accelerazione …”.[65]

      La menzogna è divenuta uno strumento valido e ammesso di persuasione; la sua globalizzazione le ha tolto ogni aspetto negativo e si manifesta con successo nella grande politica come nei rapporti personali.

      “Nel neocapitalismo siamo tutti nient’altro che consumatori e spettatori molto alienati”.[66] La rivoluzione digitale  ha modificato totalmente non soltanto la maniera in cui acquisiamo notizie sul mondo, ma pure il modo in cui è possibile alterare le informazioni che il pubblico apprende, frastornato dal continuo brusio degli spot pubblicitari. C’è tutta una lotta sotterranea per assicurarsi la capacità di alterare la realtà, manipolare le nostre convinzioni, indirizzare i nostri comportamenti.. Oggi abitiamo un mondo dove il reale e il virtuale convivono e gli utenti della rete spesso difettano nello smascherare le mistificazioni. Internet viene considerata una grande democratizzatrice della conoscenza in quanto è accessibile a tutti e da tutti modificabile. Eppure la conoscenza è elitaria perché richiede autorevolezza e non può dipendere dal consenso della maggioranza e dagli applausi di una folla in festa.

      Lo studio è poco apprezzato e praticato,[67] come qualsiasi cosa che richieda impegno e fatica e non si riduca a un superficiale passatempo. Per questo la cultura si celebra tra le spiagge e le città d’arte “all’interno di uno dei mille, dei diecimila festival e rassegne che ogni giorno e ogni notte volonterose associazioni e generosi enti locali hanno organizzato”.[68]  La conoscenza diventa uno spettacolo a cui si partecipa in massa come a un rito obbligato. Le istituzioni culturali spendono buona parte delle loro risorse per allestire questi “eventi”, dove lo scrittore famoso si intrattiene affabilmente con il proprio pubblico per promuovere il suo ultimo libro, l’esperto divulga il proprio pensiero ai non addetti ai lavori, mentre il loro nome s’imprime sui manifesti, viaggia sui social network. L’Italia è il paese dei festival: ne avvengono di tutti i tipi (letterari, musicali, di economia, di filosofia) e su qualsiasi tema. Si stima che siano più di un migliaio e che anno dopo anno aumenti il numero dei partecipanti. Nel 2018, nel festival della letteratura di Mantova, si sono succeduti 330 tra scrittori e artisti sotto gli sguardi estasiati di circa 62 mila partecipanti.[69]

    L’aumento degli italiani che hanno conseguito una laurea o un diploma e prende parte a manifestazioni culturali non è coinciso con la crescita del numero dei lettori.[70] L’analfabetismo funzionale, vale a dire l’incapacità di capire una frase dove compare qualche subordinata e una serie di conseguenze logiche, “quindi qualsiasi testo di una certa lunghezza e complessità”.[71]

      L’istruzione è finalizzata a decifrare i messaggi pubblicitari, che hanno invaso vecchi e nuovi media con una frequenza capillare perché la nostra vita si adegui senza difese a un acritico modello di comportamento. Dal web salutato come utopia democratica e conoscitiva si è scivolati a un impiego del mezzo tecnologico quale strumento di marketing per i marchi commerciali, che vi hanno individuato nuovi mezzi per diffondere le proprie merci, seguiti per imitazione dalle istituzioni culturali convinte di migliorare la propria immagine e attrarre un maggior numero di utenti.

      “Ciò che leggiamo, come leggiamo e perché leggiamo cambia il modo in cui pensiamo”.[72] Oggi i giovani evitano i testi più lunghi e difficili e scrivono stentatamente.[73] Questo determina la diminuzione delle abilità critico-analitiche e l’incapacità di distinguere, nel flusso vorticoso della rete, le informazioni attendibili da quelle artefatte. Diviene sempre più difficile concentrarsi in una lettura profonda e immagazzinare conoscenze nella memoria. In questa maniera si favorisce il pubblicitario, che “non si augura affatto che il suo lavoro sia guardato con attenzione, compreso nei dettagli, analizzato a fondo”.[74] Da tempo siamo martellati in ogni istante dalla pubblicità con cui il mercato e la politica tentano di incanalare le nostre scelte.

      Dinnanzi  all’inarrestabile aumento dell’informazione on line  e al ruolo sempre meno rilevante  dei mezzi di trasmissione tradizionale divengono essenziali “ l’atteggiamento e lo spirito critico tipici delle scienze umane, abituate da sempre ad avere a che fare con informazione ambigua e polisemica ; in particolare tutto ciò che è relativo alla validazione delle fonti ha una forte attinenza”[75] con abilità da sempre praticate in biblioteconomia.

     La biblioteca pertanto non va identificata con un indistinto “terzo luogo”, uno spazio vuoto da riempire con le più svariate attività, iniziative in grado di attirare un pubblico più ampio in ossequio alla tirannia dell’audience, ma con un luogo “fortemente caratterizzato sul piano dei percorsi di apprendimento”[76] , dove il lettore possa esercitare il piacere della serendipità. Garantire l’accesso al libro (in tutte le sue espressioni) equivale a garantire la trasmissione d’una tradizione millenaria alle generazioni future; smarrire la sua rintracciabilità significa accrescere la discontinuità del pensiero umano.[77]    

    Va eliminato un comportamento generalizzante che induce le biblioteche a impegnarsi interamente nella soddisfazione dei bisogni espressi, o addirittura a indulgere su offerte attraenti e alla moda per rendere più consistenti le statistiche, tralasciando di indagare sulle esigenze non espresse e sulle aspettative dei non utenti.[78]

    La “promozione della lettura”, con tutti i suoi aspetti folkloristici che tendono a rappresentala come un’attività capace di attirare una vasta quantità di pubblico attratta (distratta) dalla pubblicità dell’industria culturale, va ridimensionata rispetto all’insegnamento a valutare soppesare e impiegare i testi che circolano a un ritmo sempre più ossessionante con l’intento di catturare un consenso superficiale, una partecipazione passiva ed entusiasta alle varie proposte di innovazione.

   Le biblioteche raccolgono una saggezza che si è sedimentata per millenni, che ci consentirebbe di orientarci con maggiore tranquillità in universo governato dal caos. Neminem posse beate vivere, ne tolerabiliter quidem, sine sapientiae studium.[79]  Come il filosofo, come qualsiasi ricercatore il bibliotecario rompe i legami con la vita quotidiana. E questa rottura non viene perdonata da chi vive immerso nella palude della quotidianità, che la qualifica come un’attività improduttiva e, nel migliore dei casi, la isola nell’indifferenza.

  Eppure nella nostra era “più che mai esposta alle tossine della menzogna”[80]                                    stupisce che non esista nessuna istituzione ufficialmente incaricata di insegnare il metodo critico. “Al contrario viviamo in un momento in cui il potere pubblico sceglie di annullare il valore culturale e lo spessore del patrimonio culturale, spacciando l’intrattenimento a pagamento per accesso democratico alla conoscenza”.[81]

 

                                                       NOTE



[1] MURRAY S. MARTIN, A Future for Collection Management, “Collection Management”, 6 (1984), n. ¾, p. 5 (citato da ALBERTO SALARELLI, Per una  critica  del concetto di modello in biblioteconomia, “Biblioteche oggi. Trends”, giugno 2015, p. 99-108; p. 106.

[2] ALBERTO SALARELLI, Per una critica …, cit., p. 107.

[3] AIB, Rilanciare le biblioteche pubbliche. Documento programmatico, settembre 2011 <http://www.aib.it/attivita/campagne/2012/12818-rilanciare-le-biblioteche-pubbliche-italiane-documento-programmatico/>

[4] WILLIAM  R. GORDON, Advocacy for Democracy: the Role of Library Associations. Paper presented to the 66th IFLA RTMLA Open Session, Jerusalem, August 15, 2000 <http://archive.ifla.org/IV/ifla66/papers/119-122e.htm>

[5] Questa considerazione economicistica della cultura da tempo non manca mai nelle riflessioni dei bibliotecari.

[6]   GIOVANNI DI DOMENICO,  Conoscenza, cittadinanza e sviluppo: appunti sulla biblioteca pubblica come servizio sociale, “Aibstudi” 53 (2013), n. 1, p. 13-25 DOI 10.246/aibstudi-8875, p. 15.

[7]   Ivi, p. 23.

[8] ADRIANO SOLIDORO, Verso l’Agenda 2030: biblioteche pubbliche e sviluppo economico sostenibile, “Biblioteche oggi”, 38 (2020), gennaio-febbraio, p. 8-15; p. 8.

[9]  GIOVANNI SOLIMINE, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica, “Aibstudi” 53 (2013) n. 3, p. 261-271 DOI: 10.2426/aibstudi-9132, p. 261.

[10]   Ivi, p. 263.

[11]   Ivi, p. 265.

[12]  STEFANO PARISE, Appunti per un’agenda delle biblioteche italiane, “Aibstudi”, 55 (2015), 2, p.227-234 DOI 10.2426/aibstudi-11171, p. 230.

[13] MAURO GUERRINI, Un mosaico incompiuto. Note per memoria delle biblioteche di ente locale in Italia, in Percorsi e luoghi della conoscenza. Dialogando con Giovanni Solimine su biblioteche, lettura e società a cura di Giovanni Di Domenico, Giovanni Paoloni e Alberto Petrucciani, Milano, Editrice Bibliografica, 2016, p. 77-78.

[14]GRAZIELLA PRIULLA, L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese,Milano, Angeli, 2011, p. 16.

[15] ROBERT & EDWARD SKIDELSKY,    How Much is Enough? The Love of Money and the Case for the Good Life, London, Allen Lane, 2012; trad. it. Quanto è abbastanza : di quanto denaro abbiamo bisogno per essere felici?( Meno di quello che pensi ), Milano, Mondadori, 2013, p. 124.

[16] Ivi, p. 275.                                                                                                                                          

[17]  MAURIZIO BETTINI, A che servono i Greci e i Romani?  L’Italia e la cultura umanistica, Torino, Einaudi, 2017, p. 9.

[18]EDGAR MORIN , La méthode 6. Ethique, Paris, Ed. du Seuil, 2004; trad. it. Il metodo 6. Etica, Milano, 2005, p. 134.

[19] SENECA, Epist. 16, 7.

[20]  REMO BODEI, Limite, Bologna, Il Mulino, 2016.

[21]  SALVATORE NATOLI, Sul male assoluto. Nichilismo e idoli del Novecento, Brescia, Morcelliana,2006, p. 30.

[22] Questi dati sono stati analizzati da GIOVANNI SOLIMINE, Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2014.

[23] THOMAS NICHOLS, The Death of Expertise. The Campaign Against Established Knowledge and Why It Matters, New York, Oxford University Press, 2017; trad. it.La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza  e I rischi per la democrazia, Roma, La Repubblica, 2019, p. 44.

[24] Ivi, p. 97 (Per quanto concerne le università americane).

[25]   SARA CHIESSI, Il welfare è morto viva il welfare! Biblioteche pubbliche tra welfare e valore sociale, “Aibstudi” 53 (2013), n. 3, p. 273-284  DOI: 10.2426/aibstudi-9146, p. 274.

[26]  Ivi, p. 276.

[27]  Ibid.

[28] Ivi, p. 282.

[29] COLIN CROUCH, Postdemocrazia. Traduzione di Cristiano Paternò, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 3.

[30] DAMIANO PALANO., La democrazia senza qualità. Le “promesse non mantenute” della teoria democratica, Milano-Udine, Mimesis, 2015, p. 17

[31] LUCIANO CANFORA- GUSTAVO  ZAGREBELSKY, La maschera democratica dell’oligarchia. Un dialogo a cura di Geminello Preterossi, Roma- Bari, Laterza, 2014, p. 5.

[32] COLIN  CROUCH, Postdemocrazia, cit., p. 4.

[33]  FRANCA D’AGOSTINI, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, p. 11.

[34] LUCIANO CANFORA, La natura del potere, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 8-9.

[35] Ivi, p. 19.

[36] DAMIANO PALANO, L’ombra lunga del partito. Critica, crisi, metamorfosi, “Nuova informazione bibliografica” 12 (2015), n. 1, p. 39-68;  p. 57.

[37] DAMIANO PALANO, La democrazia senza qualità, cit., p. 114.

[38] MASSIMO FINI, Il futuro è arrivato e il modello economico è giunto al capolinea, prefazione a ALAIN DE BENOIST, Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, Bologna, Arianna Editrice, 2012, p. 11. (Ed. orig.: Au bord du gouffre. La faillite annoncée du système de l’argent, Paris, Krisis, 2012).

[39] COLIN  CROUCH, Postdemocrazia, cit., p. 29-30.

[40] MASSIMO L. SALVADORI, L’idea di progresso. Possiamo farne a meno?, Roma, Donzelli, 2006, p.85.

[41]  COLIN  CROUCH, Postdemocrazia, cit., p. 75.

[42] MASSIMO L. SALVADORI, L’idea di progresso…, cit., p. 93.

[43] Ibid.

[44]  COLIN   CROUCH, Postdemocrazia, cit., p. 14.

[45]  MASSIMO L. SALVADORI. L’dea di progresso …, cit. p.144.

[46]  LUCIANO CANFORA – GUSTAVO ZAGREBELSKY, La maschera democratica…, cit., p.8-9.

[47] CARLO FORMENTI, Utopie letali. Contro l’ideologia postmoderna, Milano, Jaca Book, 2013, p. 14.

[48] LUCIANO CANFORA, La natura del potere …, cit., p.73.

[49] DAMIANO PALANO,  L’ombra lunga del partito …,  cit., p. 55.

[50]  ETIENNE DE LA BOETIE, Discours de la servitude volontarie,  1576 ; trad. it. Discorso della servitù volontaria. A cura di Enrico Donaggio. Interventi di Miguel Benasayag e Miguel Abensour. Nuova traduzione, Milano, Feltrinelli, 2014, p. 12.

[51]  LAMBERTO MAFFEI, La libertà di essere diversi. Natura e cultura alla prova delle neuroscienze, Bologna, Il Mulino, 2011,  p. 89.

[52] LUCIANO CANFORA, La natura del potere …, cit., p. 78.

[53]  ANNA GALLUZZI, Biblioteche pubbliche tra crisi del welfare e beni comuni della conoscenza. Rischi e opportunità, “Bibliotime”, 14 (2011), n. 3 <http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiv-3/galluzzi.htm>

[54] FRANCA D’AGOSTINI, Menzogna, Torino, Bollati Boringhieri, 2012, p. 12.                              

[55] Ivi, p. 44.

[56]  Ivi., p.83.

[57] LORELLA CEDRONI, Menzogna e potere nella filosofia politica occidentale, Firenze, Le Lettere, 2010, p. 123-124.

[58] Citata da LORELLA CEDRONI, Ivi, p. 133.

[59] FRANCA D’AGOSTINI, Menzogna, cit. , p.115.

[60]  Ivi, p. 117-118.(corsivo nel testo).

[61]  Ivi, p. 120.

[62]  CARLO FORMENTI, Utopie letali … cit. , p. 213.

[63]  LAMBERTO MAFFEI, La libertà di essere diversi …, cit., p. 113.

[64]  Ibid.

[65]  EUGENIO BORGNA, Saggezza, Bologna, Il Mulino, 2019, p. 7.

[66]  MASSIMO PANARARI, L’egemonia sottoculturale. L’egemonia da Gramsci al gossip, Torino, Einaudi, 2010, p. 58

[67]  CARLO REVELLI, Biblioteche per cittadini, “Biblioteche oggi”, 30 (2012), n.9, p. 62.

[68]  GOFFREDO FOFI, L’oppio del popolo, Milano, Elèuthera, 2019, p. 17.                                        

[69]  GIOVANNI SOLIMINE- GIORGIO ZANCHINI, La cultura orizzontale, Roma-Bari, Laterza. 2020 (e-book cap. 19).

[70] MASSIMO BRAY, Il valore della lettura nell’epoca digitale, in Percorsi e luoghi della conoscenza …, cit., p. 190.

 68  ALBERTO PETRUCCIANI, Siamo talmente ignoranti da non comprendere quanto sia grave e pericoloso il nostro livello di ignoranza, in Percorsi e luoghi e luoghi della conoscenza, … cit., p. 218.

[72]   MARYANNE WOLF, Reader, Come Home: The Reading Brain in a Digital World, New York, Harper Collins, 2018; trad. it.: Lettore, vieni a casa. Il cervello che leggein un mondo digitale, Milano, Vita e Pensiero, 2018, p. 9-10.

[73]   Ivi, p. 90.                                                                                                                                           

[74]   EDOARDO LOMBARDI VALLAURI, La lingua disonesta. Contenuti impliciti e strategie di persuasione, Bologna, Il Mulino, 2019, p. 55.

[75]  FEDERICO MESCHINI, Fake news e post-verità: disordini informativi e narrativi tra Gutenberg e  Google, “AIBstudi” 59 (settembre-dicembre 2019, p. 393-411  DOI 10.2426/aibstudi-12018, p. 405.

74   LAURA BALLESTRA, La biblioteca come (pro) motore di competenza informativa, in Nuovi orizzonti per un antico sapere. Le biblioteche nel mondo contemporaneo. A cura di Gerardo Rigozzi. Prefazione di Robert Darton, Roma, Carocci, 2016, p. 138.

[77] GERARDO RIGOZZI, Questioni sulle biblioteche di oggi, in Nuovi orizzonti per un antico sapere …, cit., p. 11-12.

[78]  ANNA GALLUZZI, Le biblioteche trent’anni fa, ovvero quando gestione e innovazione non erano di moda, in Percorsi e luoghi della conoscenza …, cit., 105-106.

[79] SENECA, Epist., 16,1

[80]  TOMASO MONTANARI, Presentazione di Apologia o mestiere di storico di Marc Bloch, “Micromega” La Biblioteca 2 (Suppl. del 13-06-2019), p. 47-52; p.50.

[81] Ivi, p. 51.

Commenti

Post più popolari